giovedì 5 febbraio 2009

Sull'omicidio di Andrea Campagna, una delle vittime di Cesare Battisti, la testimonianza di suo fratello Maurizio

L'agente di PS, originario di S. Andrea Jonio, fu ucciso in un agguato a Milano il 19 aprile del 1979

Andrea Campagna aveva 25 anni e sognava una vita normale, una famiglia, dei figli, “quello che il suo carnefice, Cesare Battisti, ha avuto e vorrebbe continuare ad avere, come se niente fosse e come se quell’omicidio di 30 anni fa, l’omicidio di mio fratello, non fosse mai accaduto”.
Il ricordo è vivido, il dolore è permanente, forse solo levigato dal tempo. E per Maurizio, Anna e Sabrina Campagna e la loro madre Antonietta (vedova dal 2005), originari di S. Andrea Apostolo dello Jonio, c’è sempre l’orologio del ricordo fermo al primo pomeriggio del 19 aprile 1979.
Quel giorno, a Milano, dove si erano trasferiti da alcuni anni, dopo aver lasciato S. Andrea, cinque colpi esplosi da una 357 Magnum colpirono a morte il loro familiare Andrea Campagna, agente di PS in forza alla Digos milanese. A sparare fu Cesare Battisti, l’uomo che oggi occupa prime pagine e aperture dei Tg, oggetto di contesa diplomatica tra Italia e Brasile.
Condannato all’ergastolo per quattro omicidi (tra cui Campagna), Battisti è ora nel carcere di Brasilia. Da un lato, pende la sua richiesta di asilo politico, dall’altro la richiesta di estradizione da parte dello Stato italiano.
L’ultima decisione, dopo il diniego del Presidente Lula da Silva, spetta al Supremo Tribunal Federal (la corte suprema brasiliana). “E pensare – ricorda il fratello, che vive a Milano e cura i rapporti della famiglia con la stampa e fa parte dell’associazione italiana vittime del terrorismo - che l’ex Guardasigilli Mastella, in un’intervista radiofonica dell’aprile scorso, aveva dichiarato di aver avuto assicurazioni dal suo omologo brasiliano, il ministro Tarso Genro, sull’esito positivo dell’estradizione. Mi chiedo cosa sia cambiato da allora”.
La richiesta di giustizia si affianca al ricordo di Andrea. Lo Stato lo ha insignito della medaglia d’oro al merito civile nel 2004; a Vibo Valentia gli è stata intitolata la Scuola allievi di Polizia. Le sue spoglie si trovano nel cimitero di S. Andrea, in una cappella che porta il suo nome, e una via in Marina lo ricorda come “vittima del terrorismo”. Proprio quest’ultimo termine suscita una precisazione di Maurizio: “Battisti è un uomo senza ideali, un delinquente comune che finora è riuscito ad affabulare parti dell’opinione pubblica e politica di Francia e Brasile”.
E fa riflettere come, ancora , molte famiglie italiane si trovino a dover lottare con quella dolorosa ferita aperta dagli “anni di piombo”. Pur se ormai lontana nel tempo, le sue conseguenze hanno toccato in maniera irreversibile tante vite umane.
Oggi, la consapevolezza che la Repubblica Italiana vinse quella battaglia utilizzando le regole dello stato di diritto stride con il quadro negativo dipinto dal Brasile del nostro sistema giudiziario. “Riconoscere lo status di rifugiato politico a Battisti non ha senso. Si parla di un uomo condannato per quattro omicidi, la cui posizione è stata valutata in quattro procedimenti giudiziari”. E suona grottesco il suo tentativo di scaricare le responsabilità sui “colleghi” dei Pac (proletari armati per il comunismo) che hanno già scontato le loro condanne: “Ha avuto trenta anni per fare eventuali nomi - scandisce Maurizio - come mai si è deciso a farli soltanto oggi?”.
Intanto, l'ambasciatore d'Italia in Brasile, Michele Valensise è rientrato a Brasilia e nei prossimi giorni presenterà al Supremo Tribunal una memoria dello Stato Italiano sul caso Battisti, con la richiesta di revisione dell'asilo politico e l'eventuale estradizione.

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