Dopo mesi di lungaggini burocratiche, l'ennesimo ostacolo alla ricostruzione dello stabilimento balneare
I sigilli al cantiere sono stati apposti dai carabinieri del nucleo per la Tutela del Patrimonio Culturale di Cosenza nel pomeriggio di sabato.
Ora, una grande e desolata buca si trova al posto di quello che sarebbe dovuto diventare il Jungle Beach, lo stabilimento balneare distrutto da un incendio doloso il 16 luglio 2007. Per tutta la mattina, gli uomini dell’Arma del nucleo cosentino e quelli della stazione di S. Andrea, assieme al dirigente provinciale del dipartimento ambiente e comandante della polizia provinciale Domenico La Gamma, hanno effettuato i rilievi.
E in base ai loro riscontri, la ditta di proprietà del signor Rocco Fortugno sarebbe risultata provvista di una d.i.a. (denuncia di inizio lavori) non conforme, non potendo dunque procedere all’attuazione dei lavori.
Il tentativo del signor Rocco di far rinascere lo stabilimento trova così sulla propria strada un macigno che sarà difficile da rimuovere. Insomma, l’ennesimo capitolo della vicenda Jungle Beach che, probabilmente, prefigura la parola “fine” per il futuro del lido.
Un futuro che già nei mesi scorsi era stato messo a rischio da una serie di lungaggini burocratiche che avevano messo in grave difficoltà i Fortugno. Addirittura, per portare avanti le loro istanze nelle diverse sedi avevano dovuto fare ricorso all’ausilio di un legale, l’avvocato Stefano Stranges. E già, il fatto di dover nominare un legale per aprire un lido non pare certo deporre a favore della burocrazia italiana (o, forse, solo di quella calabrese).
L’ultima spiaggia era così diventata la “denuncia di inizio attività” che avrebbe consentito di ottenere l’avvio dei lavori, presumibilmente, entro pochi giorni. Questo, dopo che “già da ottobre 2007 eravamo pronti con il progetto del nuovo stabilimento – evidenzia Carmelo, uno dei figli del signor Rocco – salvo arrivare a giugno senza avere ancora il permesso di costruire, nonostante ci fossimo mossi ampiamente nei margini prescritti dalla legge”.
Infatti, l’ultima “sorpresa” in termini temporali, si era avuta alla Provincia di Catanzaro con il “nulla di fatto” scaturito dall’annullamento della conferenza dei servizi convocata (proprio su suggerimento dello stesso ente) circa un paio di settimane fa. “S. Andrea ha un piano spiaggia che è soltanto “adottato”, dunque non ancora in vigore” è quanto si era sentito dire alla Provincia Carmelo assieme al suo avvocato. Con ciò a significare che nel periodo di transizione, dalla conferenza non sarebbe sortito nulla di concreto.
E infine, la denuncia di inizio attività, alla prova del nove, sarebbe risultata dunque non conforme.
A questo punto, si aggiunge un altro aspetto.
I Fortugno, infatti, erano, e sono tuttora, in attesa di una risposta da Roma, dal Fondo di solidarietà per le vittime del racket e delle intimidazioni ambientali, cui, il 23 luglio 2007, avevano fatto istanza per chiedere un contributo (elargizione) per i danni subìti. Il dolo da “intimidazione ambientale” dell’incendio era stato, infatti, “certificato” nella comunicazione della Prefettura di Catanzaro al Fondo. “A questo punto, - sottolinea Carmelo - la beffa sarebbe ottenere l’elargizione dal Fondo per poi doverla restituire non potendo, ovviamente, costruire lo stabilimento”.
E la vicenda, da un punto di osservazione esterno, fa nascere una considerazione: quella del paradosso di uno Stato che da un lato sostiene chi è vittima di atti criminali ma dall’altro non va loro incontro a livello burocratico. I mesi persi dai Fortugno dietro ad autorizzazioni e permessi lasciano, infatti, una “macchia” sulla credibilità delle istituzioni. In una terra come la Calabria, invece, lo Stato dovrebbe creare “corsie burocratiche preferenziali” per quegli imprenditori, vittime di atti criminali, che intendono ripartire nella propria attività.
N.B.: nella foto, un manufatto preesistente (1983), scoperto durante le operazioni di scavo.
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