lunedì 20 ottobre 2008

Uno sguardo sul comprensorio - Badolato si pone come modello di accoglienza ai rifugiati

La sede calabrese del Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR) si trova nel borgo di Badolato.

Può dirsi giunto il momento di superare il vecchio e provocatorio slogan “Badolato-paese in vendita”?
Il quesito appare ormai legittimo: infatti, nonostante i molti problemi che tuttora lo affliggono, come tutti i paesi del comprensorio, il nucleo civile del centro ionico ha saputo dimostrare vitalità, con l’esperienza dell’accoglienza ai rifugiati. E’ proprio questa apertura, infatti, a parlare di Badolato come di un paese che può proporsi a modello per gli altri.
Non più ammasso di pietre cotte al sole estivo e ammuffite dall’umidità invernale ma luogo di accoglienza e di rifugio.
Ed è l’esperienza che da dieci anni si vive nel borgo antico. Protagonisti sono i suoi abitanti, che hanno superato ogni scoglio razziale di fronte ad un “gioco” molto grande, quello delle migrazioni umane.
Quando il 26 dicembre 1997 la nave Ararat poggiò sulla sua costa 836 profughi di etnia curda, fu un paese intero a mobilitarsi per accogliere e dare loro speranza. L’amministrazione comunale del tempo (guidata da Gerardo Mannello) lanciò l’idea di ospitare i curdi nelle case inutilizzate del centro storico, dando il via ad una corsa che nonostante infortuni e zoppie arriva sino ad oggi e già guarda al domani.
Chissà da dove arrivarono quelle energie emotive che scrissero una delle pagine più belle della storia locale e non solo. Oggi, (dal 1998) Badolato è centro di seconda accoglienza e sede calabrese del Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR), una Ong che si occupa di assistere chi fugge dal proprio paese per motivi religiosi o politici. E’ proprio la “fuga” a distinguere il rifugiato dall’immigrato, quella che non ti permette di preparare nulla e che ti catapulta in una terra sconosciuta, avendo come bagaglio solo te stesso e la tua storia.
La responsabile regionale del Cir, Daniela Trapasso, e i collaboratori, Rolando Piperissa e Cristina Cunsolo, sono i punti fermi di questo “scambio” vitale con culture diverse e lontane. E’ il Cir, infatti, ad “accudire e guidare” i rifugiati. Non appaia enfatico ma la realtà parla con numeri, volti e persone in carne e ossa. Numeri concreti e costruttivi, che hanno permesso a centinaia di rifugiati di avere una nuova chance nella vita.
Oggi sono in trenta a Badolato, nell’ambito del progetto Sprar (il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati predisposto dal Ministero dell’Interno nel 2001, rivolto ai Comuni e gestito dal Cir) e di un altro progetto ministeriale. Il programma ha una durata temporale precisa (6 mesi prorogabili) in cui il Cir fornisce “strumenti” ai rifugiati (corsi di lingua, formazione lavoro).
Un’attività che ha già portato 170 rifugiati (nell’ambito del solo Sprar) a vivere e lavorare regolarmente in Italia, mentre il Cir Calabria, a Badolato, nel complesso ha assistito circa 1.200 rifugiati.
Badolato, dunque, è stato “pioniere” in tempi in cui gli “sbarchi” sulle coste calabresi erano ancora un fenomeno sconosciuto. Solo con il passare degli anni però l’esperienza ha dato i suoi frutti. “Certamente – spiega Daniela Trapasso – dobbiamo ringraziare tutte le amministrazioni comunali che si sono succedute negli anni, a partire da quella Mannello fino all’attuale, guidata da Nicola Parretta. Tutte hanno dimostrato sensibilità per ogni esigenza”.
Un sentimento di gratitudine che abbraccia la prefettura, la questura e il Ministero dell’interno “sempre vicini e ricettivi 24ore su 24”.
E che il “modello Badolato” funzioni lo dimostra il fatto che alcune famiglie di rifugiati, concluso lo Sprar, hanno deciso di restare a vivere nel paese.
L’idea originaria di ripopolare il borgo con i curdi si è infatti evoluta, sviluppando un equilibrio spontaneo, e oggi il centro storico presenta un volto multiculturale. Non un melting pot ma un piccolo sistema ordinato che accanto ai volti sornioni degli anziani del luogo vede i volti, finalmente sereni, di afgani, iracheni, africani, curdi, colombiani, kosovari. A cui ora si affiancano anche quelli di turisti europei e nordamericani, attirati dalla curiosità verso una “propaganda” umanitaria che negli anni ha portato nel mondo il nome della cittadina.
Un modello, dunque, che si offre ai paesi vicini. “Avremmo davvero bisogno di nuove risorse nel comprensorio – spiega la Trapasso – e siamo pronti a fornire ogni supporto ai Comuni che fossero interessati a realizzare progetti di accoglienza”.

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